mercoledì 25 aprile 2018

Istantanee: Ghana, Togo e Benin

Da quando mi sono smart-fonizzato e netbook-izzato è diventato molto facile interagire con i social network anche durante i viaggi, e ho preso così l'abitudine di scrivere, ogni sera o quasi, su FB le mie riflessioni a caldo sulla giornata di viaggio appena trascorsa. In realtà all'inizio era più che altro un modo per informare mia madre della situazione in cui mi trovavo, ma poi mi sono accorto che in molti leggevano con piacere quello che scrivevo. Sotto l'etichetta Istantanee ho pensato dunque di raccogliere quei post, viaggio per viaggio, nazione per nazione, e di pubblicare l'insieme sul blog; ne viene così fuori uno scritto forse meno utile a livello di informazioni, ma molto più spontaneo e ruspante degli articoli ragionati su cui ho sempre basato i contenuti del blog stesso.

GHANA-TOGO-BENIN (23/12/2017 – 7/1/2018) 
L'Africa ha bisogno di pazienza si sa, infatti il mio viaggio è cominciato con 45 minuti di ritardo sul volo e una fila all'immigrazione di una lentezza biblica, fortuna che non era poi lunghissima e quindi dall'atterraggio all'uscita dall'aeroporto me la sono cavata in un paio d'ore (abbondanti, e per fortuna che avevo già il visto...però dalla rete non sembrava fosse possibile farlo anche in aeroporto).
Accra sembra una città molto vivace dove la vegetazione si mischia con le strade e i palazzi...molto tropicale come cosa.
La parte più istituzionale però non è granché perché i vari palazzi del potere, o delle associazioni o delle istituzioni economiche sono tutte recintati e quindi dove sei sei cammini vicino a un muretto.
storia del ghana
Piazza dell'Indipendenza invece è un'enorme spianata con le gradinate colorate con i toni della bandiera e un arco su cui campeggia la stella nera simbolo nazionale e lo stadio alle spalle. Dietro la piazza si accede anche alla spiaggia, però qui l'oceano è sempre mosso e pieno di correnti e infatti il luogo balneare vero e proprio si trova qualche chilometro fuori, però la vista ha il suo fascino.
Alla fine le immagini migliori le regalano forse i quartieri a ridosso della costa come Christiansborg (nome danese, qui hanno comandato un po' tutti nei secoli passati) con le casette basse e i tetti in lamiera, non proprio una baraccopoli ma nemmeno un quartiere chic, dove tutti ti sorridono e oggi che era domenica e la vigilia di natale dalle tante chiesette e congregazioni religiose si sentivano musiche e canti che rallegravano l'aria.
Domani si riparte subito alla volta di Cotonou, in Benin, e i posti più colorati della capitale ghanese come il mercato o il villaggio di pescatori me li gusterò al mio ritorno, gli ultimi due giorni prima di salire sull'aereo per casa, intanto però pare che la vita notturna di Accra sia molto festosa (anche sicura sembra) e dato che il quartiere trainante ce l'ho qui accanto alla mia guesthouse tanto vale andare a dare un'occhiata. 

<<Vino (di palma), bancarelle,
terra arsa e rossa,
terra di sud, terra di sud,
terra di confine,
terra di dove finisce la terra.>> 

(Mi sono preso questa licenza ma rimango sempre e per sempre un rocckettaro puro e semplice) 

"...Gesù, proteggi il driver e tutti noi..."! Così apostrofava la signora seduta dietro di me sul minibus Accra-Cotonou. Il driver di suo ci propinava invece canzoni dal sound allegro e parole inequivocabili come "we pray for mercy" e "we bless you".
alien?
Ciò nonostante il viaggio di buone sette ore è stato bellissimo e ha regalato tutto quanto di bello ci si poteva aspettare: natura disordinata, terra rossa, villaggi ai lati della strada con i bambini che giocano, banchi che vendono di tutto, polli e caprette in libertà, case di fango, donne nei loro splendidi vestiti colorati con acconciature curiose o le ceste in testa (in realtà ci portano veramente di tutto in testa, anche le bottiglie d'acqua), il maestoso fiume Volta e il fascinoso lago Ahémé, per finire con le bustarelle che passavano dalle mani dell'addetto della compagnia di bus a quelle dei poliziotti togolesi, dei tre paesi sicuramente i più loffi, al passaggio delle frontiere Ghana-Togo e Togo-Benin.
Una delle cose che ho imparato progettando questo viaggio è che Porto Novo è solo di nome la capitale del Benin (vero sorè?) perché di fatto la città di gran lunga più grande e importante è Cotonou: un vitale, brulicante, colorato, caotico, sporco, affascinante, disordinato, trafficatissimo, enorme ammasso di case all'80% a un piano che sembrano capitate lì per caso e tagliato in due da un vasto canale che collega il mare al lago salato Nokouê.
Ma chiaramente benché sia il posto dove trovare più facilmente alloggio e servizi e seppur non bella ma affascinante con i suoi vialoni asfaltati incrociati da vicoli sterrati popolati da polli, caprette e donne dai bellissimi vestiti colorati con le ceste in testa, non è per Cotonou che si viene in Benin: sulla sponda opposta del lago sorge infatti Ganvié, una città di oltre 30000 abitanti interamente su palafitte raggiungibile esclusivamente in piroga.
spiagge
Le immagini delle palafitte, della vegetazione sull'acqua e dei pescatori sulle barche rimandano irrimediabilmente a quel lago Inle che mi entusiasmava un anno fa (tecniche di pesca differenti ovviamente), ma comunque non si smette mai di gioire alla vista di certi paesaggi. La guida che mi ha accompagnato sulla piroga poi, il buon Laurent, mi ha proposto di visitare il suo villaggio, e così mi sono ritrovato a fare una buona mezz'ora su una motoretta lungo strade sterrate in mezzo ai campi per finire in un insediamento fatto di case di fango che vive coltivando ananas (ora so che sapore ha veramente un ananas!) e in cui la gente sorride con gentilezza e i bambini mostrano tutto il loro stupore per quello che potrebbe essere il loro primo incontro con un bianco.
Se la bellezza di un viaggio la fanno le esperienze la giornata di oggi è valsa da sola il prezzo dell'aereo.
Per le foto vi dovrete accontentare di quelle poche fatte col cellulare nell'attesa di poter scaricare quelle della macchina fotografica. 

Non è possibile avere idea di cosa sia davvero una folla scomposta fino a quando non si passa qualche ora nel mercato Dantokpa di Cotonou, una città nella città fatta di banchi e bancarelle posizionati in maniera quasi casuale, con il negozio di parti per auto vicino a un chiosco di banane, e gente che vaga con i cesti in testa vendendo la loro mercanzia muovendosi, il tutto con qualche auto e tante motorette che fendono la folla per andare non si sa dove. Però è di certo un'esperienza imprescindibile di un viaggio in Benin, con la sua colorata umanità che riempie gli occhi.
i pitoni di ouidah
Il quartiere vicino l'aeroporto invece è una boccata d'aria con le sue villette e il suo aspetto più internazionale, fa un po' da rifugio...nella birreria dove ho cenato seduti ai tavoli c'erano più bianchi di quanti ne avessi visti nei tre giorni precedenti.
Porto Novo invece non ha per nulla l'aspetto di una capitale ma vantando, al contrario della sua vicina "ingombrante" metropoli, un po' di storia, qualche attrazione di stampo coloniale come una curiosa cattedrale trasformata in moschea o una residenza nobiliare che ora ospita una fondazione e un museo la può mostrare. Certo, anche qui però il bello lo fa la gente, il brulicare vicino ai mercati, le persone che ti sorridono e salutano (qualche molestatore si trova sempre, ma comunque sono rari) e soprattutto i bambini che ti guardano con gli occhi sgranati per poi aprirsi in un luminoso sorriso facendo ciao ciao con la manina per rispondere al tuo divertito saluto.
chango? ogun? vudù!
Nel paese convivono pacificamente diverse correnti cristiane, musulmani e credenti del vudù; Ouidah è però un po' il centro di queste ultime pratiche, oltre che la città che reca maggiormente i segni storici del commercio degli schiavi, del quale era il porto di partenza, e una passeggiata lungo la "route des esclaves" fino alla Porta del Non Ritorno che domina la bella spiaggia deserta, oppure nel polveroso esotico centro storico tra i forti coloniali (in effetti è rimasto solo quello portoghese mentre i corrispettivi francesi, danesi e olandesi sono andati distrutti) e statue e immagini di divinità pagane aiuta a capire la cultura di questa fascinosa nazione. A Ouidah la connessione internet è rara (e infatti sto pubblicando dal mio hotel a Lomé, in Togo) ma la serata può scorrere via in piacevole conversazione con l'ottimo Pascal, signore francese che qui ha trovato la sua ragione d'essere aprendo una graziosissima guesthouse, e le sue acqueviti di alcool di palma con frutti, erbe e aromi messi a macerare.
Il Benin certo richiede adattamento e sia benedetto il mio francese (arrugginito rispetto a dieci anni fa ma ancora più che discreto devo dire), però merita eccome; ora mi aspetta un assaggio di Togo...che Yemanya me la mandi buona. 

P.S. In realtà Yemanya tanto buona non è stata: il passaggio della frontiera è stato sorprendentemente semplice ma l'autobus da Cotonou è partito con due ore di ritardo e soprattutto ho dovuto girare un'altra ora e mezza per Lomé perché l'hotel era da tutt'altra parte da dove indicato da google maps (sta davvero in culandia) e il numero di telefono che avevo non era attivo...ma con un tassista paziente e un internet point sono venuto a capo pure di questo.
Però se a Yemanya je sto sulle balle speriamo che almeno Chango oppure Ogun m'aiutano, che dopodomani devo arrivare fino a Kumasi. 

L'ultima giornata dell'anno era quella che temevo un po' di più perché avevo il trasferimento forse più impegnativo del viaggio: da Lomè a Kumasi, invece devo dire che, seppur non senza qualche intoppo, è filato tutto abbastanza liscio.
no comment
Prima però parliamo un po' della capitale del Togo: si legge più o meno ovunque che Lomè era in passato un gioiellino coloniale, però di questi fasti non è rimasto quasi nulla e onestamente non è niente di che. L'attrazione più celebrata è il più grande mercato del mondo dedicato ai feticci del vudù, ovvero uno spiazzo sterrato in periferia con una ventina circa di banchi di feticci (pelli, ossa e teste di animali perlopiù) e dei gabbiotti dove operano alcuni stregoni. Lo spettacolo è tutt'altro che pittoresco però c'è da dire che, anche grazie alla guida obbligatoria, non è povero di interesse. Per il resto invece il centro cittadino, a parte la zona istituzionale a ovest, è un accozzaglia di bassi palazzi e stradine con banchi, bancarelle e chioschi un po' ovunque. In tutto ciò però c'è il Grand Marchè: in una cospicua parte della zona orientale del centro infatti, intorno alla cattedrale coloniale, la densità di banchi, bancarelle e persone decuplica. La città sfoggia poi una magnifica spiaggia proprio in centro praticamente deserta e ho trovato infine un ottimo ristorante con un bellissimo cortile in cui la faceva da padrone un simpatico cenerino del Gabon di nome Jacko che fischiettava allegro e parlottava in francese (il cameriere dice che canta anche, sempre in francese).
Alla fine però il fatto di avere l'hotel lontano si è rivelata una risorsa perché a ogni viaggio in mototaxi da e per il centro ho avuto modo di vedere, percorrendo strade che più che altro erano piste sterrate per evitare il traffico o i blocchi della polizia dovuti ad una manifestazione sul Boulevard dove gente in maglietta rossa ballava al suono della musica proveniente da casse sugli autocarri e mi salutava gioiosa invitandomi a unirmi a loro (ho poi scoperto che era una manifestazione politica), i poveri ma affascinanti quartieri settentrionali, dall'anima africana molto più marcata e dal susseguirsi di folcloristici mercati (tra cui uno dove venivano trattate le capre, con tutte le greggi ammucchiate e gli avventori che discutevano). Insomma, Lomè = mercati.
no comment 2
La città si trova proprio sul confine col Ghana, e il mio trasferimento è cominciato col conducente di mototaxi che mi ha portato in un posto di frontiera su un sentieraccio sterrato segnalato da una fila di copertoni dove le due guardie togolesi mi hanno salutato dando appena una veloce occhiata a zaino e documenti mentre quella ghanese invece ha fatto notare che senza i vari timbri di uscita e ingresso poi avrei potuto avere problemi in seguito (cosa di cui solo io tra tutti gli altri sembravo essere cosciente) invitando il mio conducente a portarmi al posto di frontiera principale lungo la costa, particolarmente temuto per gli "impicci" ma che in realtà non ha presentato nessun problema (il conducente, il buon Victor, non mi ha mollato però fino a quando non mi ha messo su un taxi condiviso per Accra lasciandomi il suo numero in caso avessi avuto problemi). 
Tutto mi aspettavo tranne che la parte più difficoltosa sarebbe stata trovare il mezzo per fare Accra-Kumasi, invece la compagnia di bus che effettua più corse non emette biglietti ma lascia tutti in fila nel parcheggio per poi fare montare i gruppi ogni volta che un mezzo sta per partire (ma non ci sono orari, biglietterie, spiegazioni...nulla, solo file disordinate). In mezzo a tale macello ho preferito dare retta a quelli che percorrevano la fila procacciando clienti per i taxi condivisi: avrò pagato di più ma almeno le quasi 4 ore di viaggio me le sono fatte su un'auto nuova e con aria condizionata (senza contare che chissà quando sarebbe stato il mio turno di salire sul bus). Sarà dunque la metropoli ex-capitale del regno Ashanti a ospitarmi per la notte di capodanno (peccato che l'hotel non abbia il wifi e che non so quando potrò pubblicare ciò che sto scrivendo ora sulle note del cellulare).
Ah, provate a indovinare per cosa è famosa Kumasi. Già, un mercato! 

Kumasi dunque; a un primo impatto può sembrare un po' spiazzante poiché non se intuisce bene la struttura urbana, ma una volta accortisi di come la ferrovia la divida in due e trovato l'orientamento si è rivelata una città piacevole da girare anche a piedi, visto pure il caldo decisamente più sopportabile che altrove.
Qui il regno Ashanti è più vivo che mai e il re è ancora in carica (anche se il suo ruolo è puramente di facciata); si può pure visitare il palazzo reale, una piccola parte trasformata in museo, che non è molto impressionante dal punto di vista dello sfarzo, soprattutto data la ricchezza storica di questo regno che nei periodi coloniali scoppiava letteralmente di oro, ma che comunque vale l'attenzione.
il primo tramonto dell'anno
I mercati in Africa occidentale rivestono sempre la massima importanza, ma tra tutti il più famoso è proprio il Kejetia qui a Kumasi, e devo dire a ragione: immenso, brulicante, colorato e pittoresco, questo si impressionante. E in effetti il tempo in questa città conviene passarlo ad esplorare il mercato, che poi si espande anche ben al di fuori del recinto principale inondando le strade del quartiere di gente e di bancarelle o di semplici teli per terra, ma vale la pena fare anche una passeggiata per i quartieri a ovest della ferrovia buttando l'occhio su una casa coloniale o qualche altra costruzione di questo tipo (c'è anche un forte ora trasformato in museo militare) o godendosi la calda accoglienza degli abitanti che non mancano mai di salutarti e i richiami dei bambini coi grandi sorrisi stampati in faccia.
Ora sono tornato sulla costa, a Cape Coast per la precisione, l'antica Cabo Corso; viaggio tranquillissimo per arrivarci, salvo una tiratona di mezz'ora a voce altissima della signora seduta nell'ultima fila del furgone in linguaggio locale con un ritmo leggermente rap in cui si distinguevano solo le parole Christ, Jesus, Alleluja...e in mezzo ci ha infilato pure un paio di canti (con il mio vicino di posto che gli andava dietro sottovoce)...all'inizio pensavo stesse litigando al telefono, dopo un po' ero indeciso se suicidarmi. Che pazienza che ci vuole coi danni fatti dal vaticano. 

Una delle principali attrattive dell'Africa occidentale è rappresentata dalle tante fortezze coloniali che fanno da guardia alle coste del golfo di Guinea (e facevano da centro di stoccaggio per gli schiavi che dovevano essere imbarcati).
scogliera di cape coast
Tra tutte le due più famose e meglio conservate, tanto da meritare il titolo UNESCO, sorgono ad appena 15 km l'una dall'altra, nelle città di Elmina e Cape Coast.
Quest'ultima era in effetti la capitale del governo coloniale ed entrambe, al contrario delle altre città di questa parte di mondo in gran parte formate da un'accozzaglia di basse case in cemento senza uno stile che faccia da filo conduttore e capanne di legno coi tetti in lamiera, possono sfoggiare un nucleo di splendide abitazioni antiche in muratura con logge in legno. Purtroppo però è qui che si riscontra anche il livello più alto di incuria e degrado e la situazione più preoccupante per quello che riguarda la mancanza di coscienza ecologica e l'assenza del più elementare senso civico (immondizia per le strade sparsa o a mucchi - vero è che di cestini o cassonetti non ve n'è nemmeno l'ombra - soprattutto in vicinanza delle coste di laghi, fiumi o mare, e persone che urinano davanti a tutti nei canali di scolo pieni di liquami accanto ai marciapiedi, se così possono chiamarsi, sono state comunque una costante di quasi tutto questo viaggio).
I quartieri più poveri di Cape Coast sono infatti quelli a ridosso della costa ai lati del castello, formati da casette più piccole e semplici ma ugualmente incantevoli, dove per farne un posto da sogno non sarebbe necessaria una mano di tinta, che in alcuni casi non guasterebbe ma ci sta che magari gli abitanti abbiano altre priorità per quello che riguarda le spese, ma basterebbe che evitassero di usare la spiaggia come una discarica e la scogliera come una latrina (per fare qualche foto della costa ho dovuto fare letteralmente lo slalom tra la merda e mentre le facevo avevo nei pressi due persone tranquillamente accucciate in piena vista che defecavano).
abitanti comuni
Elmina è leggermente meglio, è più piccola e la situazione è mascherata dalla laguna ingombra dalle colorate barche dei pescatori intorno alle quali si svolge il mercato del pesce, un'immagine che riempie gli occhi di meraviglia, ma dall'altro lato del castello si ripiomba nell'abisso. Non è nemmeno una questione di povertà, perché nei villaggi con le case in fango lungo le strade o nei campi forse hanno ancora meno mezzi ma la situazione è di gran lunga più dignitosa...non so...i quartieri più interni sono sicuramente più godibili, ma di certo meno affascinanti.
Torno ad Accra con rabbia e tristezza nel cuore oltre che col pensiero (o la paura) che la prima grande società affaristica cinese che si renderà conto dell'immenso potenziale turistico di questi luoghi sfratterà gli abitanti relegandoli in qualche ghetto in periferia e dopo una ripulita ci accoglierà i vari turisti tedeschi, inglesi o americani vendendo la località come la nuova Portofino (perché è di questo livello di bellezza che stiamo parlando) e che sotto sotto un po' se la siano anche cercata. 

Prima di tornare ad Accra era d'obbligo fare una visita al Kakum National Park vicino a Cape Coast, il mio primo parco nazionale africano. Certo non è uno di quei posti da safari e di animali non se ne vedono molti a meno di non fermarsi per la notte. I turisti vengono qui principalmente per il "canopy walk", le passerelle sospese tra gli alberi, che però è più un'attrazione da luna park che altro, perciò ho invece scelto una passeggiata naturalistica nella foresta di un'ora circa con la guida; in effetti sarebbe sembrata quasi come una camminata nella nostra macchia mediterranea se non fosse che sotto alla casa sull'albero dove passano la notte quelli che vogliono avvistare gli animali c'era un alligatore "not too small" (è stata più che altro un'ombra furtiva che è sparita appena siamo arrivati, però ha detto la guida che ci si mette spesso lì) e in riva al ruscello potrebbero esserci dei pitoni lunghi 10 metri che si nascondono in attesa delle prede da catturare. Alla fine però gli animali avvistati, oltre all'ombra dell'alligatore "not too small", sono stati dei bei rapaci bianchi e neri, un po' di aironi bianchi, un piccolo mammifero (non era un sorcio) che ci ha attraversato il sentiero e le tante lucertole lunghe un palmo e mezzo con la testa e la coda rosse che si incontrano ovunque anche in città. Particolare è stato aspettare lungo la strada sterrata in mezzo al nulla che passasse un furgone che mi caricasse per tornare a Cape Coast.
il mio primo parco africano
Accra invece colpisce perché al contrario delle altre città è sorprendentemente pulita, ma l'impressione dei primi giorni che non fosse particolarmente pittoresca o interessante si è rivelata decisamente vera. Nel quartiere di Jamestown ci sono due vecchi forti, il faro e quello che i locali chiamano il "fishing village", ovvero una vera e propria baraccopoli fronteggiata però da una magnifica flotta di piroghe colorate dei pescatori. Per il resto, il centro vero e proprio è quello intorno al Makola Market, un altro grande mercato che oltre al suo cuore fatto di chioschi di legno e tetti in lamiera si allarga in tutte le strade adiacenti a formare un enorme e colorato formicaio specchio della società africana. Il contesto più moderno lo rende però forse un po' meno affascinante di quelli di Cotonou o Kumasi...o forse è solo perché l'ho visto per ultimo.
Come di consueto il post finale del viaggio lo scrivo circondato dalle comodità di casa mia, in modo da poter fare anche qualche considerazione a freddo: Ghana, Togo e Benin rappresentano sicuramente una destinazione interessante e con parecchie potenzialità, ma la strada per rendere pienamente godibile il viaggio a chi voglia organizzarsi e spostarsi in maniera autonoma è ancora lunga (un tour organizzato con guida e mezzo proprio permette di certo maggiori scoperte ma i prezzi, che di per sé pur non essendo altissimi sono sicuramente più impegnativi per esempio del mio amato sud-est asiatico, lievitano notevolmente). Paradossalmente la situazione migliore da questo punto di vista mi è sembrata quella del Benin, che dei tre dovrebbe essere il più povero ma che è il più accogliente e quello con il maggior numero di siti interessanti, insomma è quello che mi è piaciuto di più.
un futuro feticcio
E ora un po' di curiosità riscontrate in giro:
- per richiamare l'attenzione gli uomini usano fare un verso che ricorda tanto un bacio con lo schiocco...fa strano camminare per strada e vedere tutti che ti indirizzano baci;
- un altro modo che usano, questo anche le donne, è emettere un forte sibilo, o altrimenti chiamandoti "boss" oppure "chief", insomma ti chiamano "capo" come a Trastevere;
- fuori Cotonou ho visto una motoretta con caricata di traverso sul portapacchi una cassa da morto;
- ai lati delle strade e agli incroci è facile trovare dei bei divani nuovi nuovi, i tappezzieri li espongono per venderli:
- la polpa dell'avocado è di un giallo tendente all'arancione, io avevo sempre pensato che fosse sul verdastro...o forse è per questo che quelli che trovo in Europa allappano?
- l'insegna della rete mobile del Togo sembra quella di una birra, così mentre tu vaghi boccheggiando per il caldo alla ricerca di una bibita fresca finisci invece in un negozio di cellulari;
- diverse persone mi hanno detto che sembravo Benzema, il calciatore del Real Madrid, o mi chiedevano se fossi un suo fan ma l'unica cosa che mi ci accomuna era la lunghezza e il colore dei capelli e della barbetta (lui senza striature bianche però);
- tantissimi mi chiedevano se fossi tedesco: capisco che anche a noi i neri o gli asiatici sembrino tutti uguali e che per loro i dettagli per distinguere una persona da un'altra siano differenti dai nostri...ma, tedesco (tra l'altro Benzema, che di nome fa Karim, è famoso per essere tedesco no)?
se lo dicono loro...
- ci sono chioschi di parrucchieri ovunque e in grandissima quantità, d'altronde le donne esibiscono trecce e acconciature molto fantasiose che spesso cambiano da un giorno all'altro (tanto che ti capita di chiederti se la ragazza della reception sia la stessa del giorno prima);
- la materna e gentilissima signora della reception dell'hotel di Cotonou quando la mattina alle 9 faceva 23 gradi portava uno spesso giacchetto di lana e mi diceva che stava morendo dal freddo;
- il tassista a Lomè mi ha detto che l'italia è brava perché va a raccogliere in mare tutti quei poveracci che gli arabi "fous" (matti) gettano in mare; non è la prima volta che mi capita che qualcuno mi dica che il nostro è un paese accogliente e caritatevole;
- cristiani, musulmani e praticanti del vudù qui convivono senza problemi, i più numerosi e convinti però sono proprio i cristiani ed è pieno di comunità di varie confessioni (presbiteriani, evangelici, battisti, metodisti...), ma soprattutto le parti posteriori di autobus e furgoni esibiscono spesso adesivi con frasi inneggianti: la più bella che ho visto è stata "god is good".

Alla prossima!

P.S. Anche questa volta ho preparato un bel video con uno scorcio sulle varie tappe del viaggio:



Nessun commento:

Posta un commento

Lasciate un commento, sarà un piacere per me leggerlo e rispondere il prima possibile.